C’è un giovane artista siciliano, Matteo Raciti, cresciuto nella splendida Acireale, in provincia di Catania, la cui arte sembra trasportarti in una dimensione altra, condurti in un viaggio sospeso tra mito e realtà, passato e presente, leggenda e storia.
Le sue opere, che vanno dai disegni alle sculture, sono accomunate da una struggente e malinconica delicatezza.
Ed è proprio nelle sculture, a mio avviso, che l’arte di Matteo Raciti raggiunge il massimo dell’espressività.
I suoi lavori sono popolati da personaggi mitici come Prometeo, Persefone, le Sirene, i Ciclopi e le Ninfe, ma anche balene, delfini, bambini e volti umani.
Si tratta di volti struggenti e malinconici, anime messe a nudo con grande sensibilità, la cui delicatezza e leggerezza colpisce immediatamente colui che le osserva.
Mito e realtà si fondono in un’arte che riesce a veicolare le impressioni, le sensazioni dell’artista, la sua grande empatia.
Nelle sue opere c’è il mito classico, ma c’è anche la letteratura contemporanea di Erri De Luca e quella dell’irlandese Swift.
Lo scrittore italiano, nel romanzo La storia di Irene, racconta di una bambina che, salvata in mare dai delfini, vive orfana su di un’isola greca. Di giorno vive sulla terraferma e di notte si unisce in mare alla sua vera famiglia.
Matteo Raciti ha realizzato una meravigliosa scultura che riprende il titolo dell’opera di De Luca e raffigura una bambina a cavallo di un delfino. L’uomo e la natura sembrano dominare le sue creazioni.
Nel 2020 l’artista siciliano ha vinto il primo premio al carnevale di Viareggio con l’opera I disagi di Gulliver, che richiama l’opera settecentesca I viaggi di Gulliver.
L’opera dello scultore catanese racconta dell’ignoranza che si manifesta nella paura del diverso e nell’emarginazione delle minoranze e che limita la libertà del singolo individuo.
Il gigante buono Gulliver è oggetto di derisione e scherno da parte dei lillipuziani che hanno paura di ciò che appare diverso da loro e che, per vincere la paura, usano la rabbia e l’aggressività.
Le opere di Raciti, se pure profondamente intrise di miti, leggende e storie fantastiche, sono drammaticamente concrete e reali perché raccontano della nostra società, dei sentimenti più puri e di quelli più biechi, di amore, della nostalgia, delle proprie radici, della propria terra.
Elemento primo della sua arte è certamente il mare. Il mare della Sicilia, profondo, avvolgente, talvolta spietato.
Il mare diventa un’entità, un personaggio come gli altri a cui si lega indissolubilmente il tema del nostos, il ritorno.
La nostalgia, come “dolore del ritorno”, attraversa le opere di Raciti così potentemente da deformarne i volti, solcati da lacrime e da espressioni corrucciate.
Le sculture dell’artista si fondono con il paesaggio, diventando un tutt’uno con esso. Anzi, è proprio l’ambiente circostante che si trasforma in funzione dell’oggetto.
L’artista catanese, che si è formato professionalmente e umanamente, per lunghi anni, nelle botteghe artigianali per la costruzione dei carri del Carnevale di Acireale, ha la straordinaria capacità di plasmare opere che sembrano parlarti, con le quali ti senti immediatamente e indissolubilmente empatico.
La sua arte racconta della Sicilia, non quella turistica e commerciale dei carretti siciliani, dei cannoli e della cassata, ma la Sicilia antica con le sue leggende, i suoi simbolismi, il suo mare che accoglie i naviganti e gli avventori.
Recentemente l’artista siciliano ha vinto, insieme all’Officina Chiodo Fisso, il premio internazionale per la partecipazione alla Biennale Cartasia- Paper, Art, Design con l’opera Hybris.
Una monumentale scultura di carta esposta, come le altre opere degli artisti partecipanti, in alcuni luoghi della città.
Si tratta infatti di un evento che si svolge nella città di Lucca e che svela l’importante legame tra artisti e territorio. L’opera di Raciti stupisce per la sua imponente bellezza mista alla leggerezza, nonché per ciò che vuole raccontare, la tracotanza, hybris, topos ricorrente nella letteratura e nella tragedia greca.
La scultura sembra infatti richiamare il mito di Dedalo e Icaro.
Icaro era un giovane ragazzo ateniese figlio di un architetto di nome Dedalo, famoso in tutto il mondo per le sue invenzioni.
Padre e figlio, rinchiusi nel labirinto di cera da loro stessi costruito su ordine del re Minosse, cercarono di fuggire da esso con delle ali di cera costruite dall’ingegnoso Dedalo. Nonostante gli avvertimenti del padre di non volare troppo in alto per non avvicinarsi al sole, Icaro, mosso dall’ebbrezza di superare i propri limiti, si spinse troppo oltre e, avvicinatosi troppo al sole, le ali di cera si sciolsero e Icaro cadde in mare e morì.
Icaro rappresenta la tracotanza, la hybris, il tentativo di superare i limiti umani, in opposizione alla moderazione e alla saggezza paterna.
E così l’opera di Raciti e dell’Officina Chiodo Fisso trae ispirazione proprio da quel volo, da quel guizzo, quel tentativo di sfidare i limiti e la sorte, l’essenza della natura umana.
L’arte del giovane artista siciliano racconta la fragilità umana in tutta la sua nobiltà e bellezza