Doppio senso- la ricerca della verità dal disegno alla tridimensionalità

DOPPIO SENSO è il titolo della mostra che vede protagonisti due grandi artisti del panorama italiano ed internazionale: Roberto Di Costanzo ed Ettore Greco.
Due forme d’espressione artistica diverse: disegno e scultura.
Ad accomunare i due artisti la tensione emotiva e vibrante dei corpi, la bellezza cercata anche nell’imperfezione, la verità indagata attraverso il tratto, la china, il gesso, il bronzo e la terracotta. Ettore Greco e Roberto Di Costanzo si incontrano a Parigi qualche anno fa.
Entrambi infatti espongono presso l’Espace Cardin e presso la Galleria Maurizio Nobile.
I due artisti vogliono riportare a Roma, a Coppedè, attraverso questa esposizione, la Parigi che li ha visti complici e che ha sancito un sodalizio spirituale, una vicinanza d’animo e d’ispirazione artistica.
Doppio senso significa, per Di Costanzo e Greco, il loro apparente andare in direzione opposta, ma che conduce entrambi alla ricerca della verità.
Nel disegno c’è, in nuce, una tridimensionalità, quella della persona. Nella china, nel tratto, c’è un tentativo più alto di rappresentare “altro”.
Di Costanzo ricerca la tridimensionalità attraverso il segno, Greco attraverso l’aggrovigliarsi di corpi, nel loro turbamento, nei volti, nella materia.
In entrambi c’è una dimensione “immaginaria”, importantissima. Il ritratto di Di Costanzo è immaginario, come un archetipo, è l’idea di ciò che l’artista coglie nei volti, nelle espressioni, sono le suggestioni dei caratteri ed il modo in cui egli concepisce dentro di sé la figura.
Ritratti immaginari ma interiori che non trovano risvolti reali ma raccontano il reale. Ci si può riconoscere nel ritratto, nello spirito di esso, ma non nel lineamento.
I corpi da lui disegnati sono custodi dell’anima, di un sentire profondo e alto, della verità.
Tratti decisi e forti, talvolta abbozzati, raffinati, delicati, capaci di cogliere ciò che solo un grande artista è capace di cogliere: l’anima, l’intensità e la bellezza.
E così anche nelle sculture di Ettore Greco, nella tensione della materia, tutto nasce dall’immaginazione.
Le sue sculture sono realizzazioni in creta, in bronzo e in gesso, di grande intensità emotiva, che esprimono un tormento interiore, viscerale.
Le opere di Ettore Greco trasudano passionalità, concitazione, pathos, quello che secondo i Greci era una delle due forze che regolavano l’agire umano.
In opposizione al logos, che rappresentava la razionalità, il pathos rappresentava la parte irrazionale dell’uomo, il sentire, l’affezione dell’animo, un insieme variegato di sentimenti.
Un sentire talmente forte da deformare i corpi e i volti delle sculture di Ettore Greco, da renderli imperfetti, volti a raccontare sentimenti ed emozioni, come solo l’arte più sublime è in grado di fare.
Sono corpi che rimodellano lo spazio, mossi, pungolati da tensioni interiori, dolori e sofferenze.
Le sculture di Greco sono espressioni di inquietudini odierne, sofferenze dell’anima che emergono con prepotenza dalla materia.
DOPPIO SENSO ha, per i due artisti, anche un altro importante significato.
Roberto Di Costanzo ha fatto della propria abitazione il suo atelier e viceversa.
Un legame indissolubile quindi, quello tra arte e vita. Di Costanzo vive delle sue opere e tra le sue opere e sente l’esigenza di esserne costantemente circondato, per scrutarle, indagarle e osservarle con sguardo critico.
Il suo atelier è un luogo sacro, dove pensare, immaginare, creare, dove nasce l’idea madre, ma è anche il luogo in cui accogliere. È il luogo in cui le persone aprono il loro animo per raccontarsi, mettendosi a nudo.
È qui che realizza i ritratti dal vero. Il processo del ritrarre per l’artista non è mai fine a se stesso, ma ad esso si accompagna una ritualità fatta di conoscenza ed empatia tra il ritrattista e il modello. Uno scambio di anime, che permette all’artista di cogliere l’essenza della persona, di rappresentare ciò che vede, oltre al volto, oltre al corpo.
Ettore Greco, invece, ha voluto fortemente scindere il suo lavoro di scultore dalla sua vita.
Anche per lui l’atelier è un luogo sacro, ma a differenza di Di Costanzo, è un rifugio in cui raramente accoglie e dal quale, quando può, fugge.
Egli sente forte l’esigenza, dopo aver creato, di allontanarsi dalle proprie sculture.
Due artisti che, nelle loro diversità, sono legati da una straordinaria sensibilità, dalla passione, dalla sacralità della creazione e dalla costante ricerca di qualcosa, da scrutare, raccontare, oltre al dato oggettivo, oltre ciò che l’occhio vede.
Uno sguardo che indaga, ma che non giudica, l’animo umano e le sue meravigliose contraddizioni.
Laura Piangiamore
SpazioCima

Roma 2018

Condividi
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •