Oggi la parola retorica ha assunto un’accezione per lo più negativa.
Con tale termine si indica infatti, nel senso comune, un atteggiamento dello scrivere o del parlare improntato alla ricerca dell’effetto oppure l’arte del discorso artificioso.
Oggigiorno retorica è, inoltre, sinonimo di tronfio, falso, artificioso.
Nel XX secolo, la Retorica è riemersa dall’oblio cui l’aveva condannata il secolo precedente.
Oggi essa è tornata in auge nella sua accezione più deteriore, potente strumento nelle mani di politici, demagoghi e personaggi pubblici di vario genere.
Prima di qualsiasi riferimento alla retorica di oggi, occorre fare un breve excursus storico sulla sua genesi e la sua storia.
L’arte della retorica ha origini antichissime. Essa è infatti un’invenzione della civiltà classica. La retorica nasce nella Sicilia greca intorno al 465 a.c, successivamente alla cacciata dei tiranni.
Potremmo essere tratti in inganno e pensare ad un’origine letteraria della stessa. In realtà la sua origine è giudiziaria. La retorica nasce infatti dall’esigenza di difendersi nelle cause e affrontare le contese giudiziarie. All’epoca, infatti, non esistevano gli avvocati. Per tale motivo i contendenti ricorrevano a degli scrivani pubblici, i logografi, i quali scrivevano delle arringhe difensive che poi gli stessi contendenti leggevano in tribunale.
La retorica offriva alle parti delle lite giudiziaria un valido ed efficace strumento persuasivo.
Proprio al fine di rendere il discorso convincente, il siracusano Corace inventò la figura del corax, che da lui prende il nome. Essa consiste nell’affermare che una cosa è inverosimile proprio perché è troppo verosimile.
La prima retorica era quindi priva di qualsiasi valenza letteraria e filosofica.
Risale a Gorgia, uno dei maggiori esponenti della Sofistica, la nascita di una nuova corrente della retorica, estetica e letteraria.
Gorgia, greco di Sicilia, fu uno dei fondatori dell’elogio pubblico, il discorso epidittico.
A tal fine coniò delle figure retoriche di pensiero e di parola, quali ad esempio perifrasi, metafore, antitesi, paranomasie, rime.
Il legame tra retorica e sofistica risulta chiaro se si pensa all’essenza di quest’ultima, la quale pose al centro della propria riflessione l’uomo e la sua soggettività. L’approccio dei sofisti era sostanzialmente un approccio individualista e relativista.
La sofistica si basava sul principio della soggettività del sapere, identificato nella convenienza pratica. Quest’ultimo era l’unico criterio valido per stabilire la verità di un’affermazione.
L’onnipotenza della parola della retorica ben si sposava, quindi, con la sofistica.
Il legame tra retorica e sofistica si fece ancora più pregnante con Protagora, che professava agnosticismo.
È famosa la sua asserzione “L’uomo è misura di tutte le cose”. Con tale tesi Protagora intendeva affermare che le cose sono tali quali appaiono a ciascun uomo.
Non esiste, quindi, un altro criterio di verità e non esiste una sola verità. Relativismo assoluto, insomma.
Per tale motivo, e per il contributo che diede alla scuola sofistica e alla retorica, Protagora ne fu una figura centrale.
I sofisti hanno creato la retorica come strumento persuasivo e, a questo proposito, essi hanno posto l’accento sul kairos, il momento opportuno all’interno del discorso.
Il kairos è fondamentale affinché il discorso esplichi tutte le sue potenzialità persuasive.
Ancora oggi, il momento opportuno rappresenta un elemento imprescindibile per la riuscita del discorso retorico.
E’ di questo che si servono oggi alcuni politici nei loro tronfi discorsi rivolti agli elettori o, più in generale, chiunque voglia catturare l’attenzione del proprio uditorio e persuaderlo delle proprie tesi.
Saper dire una determinata cosa al momento giusto è fondamentale. Il momento ed il contesto sono importantissimi perché la cosa detta risulti efficace.
Tornando alla retorica e al suo legame con la sofistica, fu l’ateniese Isocrate ad emancipare la prima dalla seconda e lo fece attraverso un’opera di moralizzazione della retorica.
Egli affermò infatti che essa è accettabile solo se al servizio di una causa onesta e nobile.
Dopo di lui Platone, invece, muoverà un’aspra critica alla retorica.
Secondo il filosofo greco, infatti, essa non è che un sapere tecnico e, in quanto tale, sterile, incapace di procurare agli uomini la vera felicità, ma volto ad accrescerne la vanità.
E’ con Aristotele che si giunse ad una nuova definizione della retorica. Essa divenne un utile strumento per affermare il vero ed il giusto.
Il filosofo di Stagira esaltò la retorica per la sua utilità, mentre Gorgia l’esaltava per il suo potere.
Agli occhi di Aristotele la forza della retorica stava nel fatto che essa rappresentava un legittimo strumento di difesa.
Non era escluso un suo uso perverso e distorto, proprio perché essa era un bene. La retorica divenne, così, uno strumento non più neutro, ma indubbiamente positivo.
E la dialettica, l’arte di argomentare, cos’è e in che rapporto si pone con la retorica?
Essa altro non è che un gioco il cui fine consiste nel provare o confutare una tesi attraverso il ragionamento.
Per Aristotele essa non era che l’arte di argomentare correttamente.
Quanto al rapporto tra la retorica e la dialettica, la prima è controparte della seconda. Aristotele definì infatti la retorica come parte della dialettica o come sua ricaduta. In ogni caso entrambe sono sullo stesso piano. In che senso?
Entrambe hanno la forza di provare una tesi ed il suo contrario, sono universali, non implicando alcuna specializzazione e possono essere insegnate.
Infine entrambe possono distinguere il vero dall’apparente e utilizzano gli stessi due tipi di argomentazione, l’induzione e la deduzione.
Possiamo dire quindi che la dialettica altro non è che la parte argomentativa della retorica.
Appare evidente, ancora oggi, l’importanza di una buona ed efficace dialettica, come strumento volto a persuadere, blandire, aizzare il proprio uditorio.
D’altronde “Le parole sono importanti!”, recitava il protagonista di un film di Nanni Moretti, ma, in molti casi, ancor più lo è il modo in cui esse sono disposte all’interno di un discorso.
Talvolta, inoltre, l’aspetto argomentativo dei discorsi pronunciati da alcuni esponenti politici o personaggi pubblici, risulta debole o, più che altro, le argomentazioni, svuotate degli orpelli retorici e ad un’attenta analisi, si rivelano fallaci.
Non è forse questo quello che, spesso, fa presa su un certo pubblico? L’apparenza in luogo della sostanza, l’effetto in luogo del contenuto?
Ebbene, per concludere la nostra analisi, occorre fare un cenno al sistema retorico aristotelico.
Aristotele, oltre a riabilitare la retorica, ne ha fatto un vero e proprio sistema.
Innanzitutto, secondo la classificazione aristotelica, essa si componeva di quattro parti: Inventio (la ricerca degli argomenti e dei mezzi di persuasione), dispositio (l’ordine dato agli argomenti), elocutio (la redazione scritta del discorso) e actio (la recitazione del discorso.. Essa può implicare la mimica e la gestualità).
Gli argomenti a disposizione del retore erano di tre tipi: ethos, pathos e logos.
Il primo altro non era che il carattere che l’oratore deve assumere (mostrare di avere anche se non lo possiede) per risultare convincente.
Il pahtos era, invece, l’insieme di emozioni, sentimenti e passioni che si intendevano suscitare nell’uditorio.
Per farlo occorreva, ed occorre ancora oggi, una buona dose di psicologia.
In tutti gli ambiti della società, da quello politico a quello dell’intrattenimento, l’aspetto emotivo è fondamentale perché serve a far breccia nel cuore delle persone.
Far leva sui loro sentimenti, facendosene interpreti e portavoce, dimostra empatia e fa si che coloro che ascoltano accordino la loro piena fiducia.
Allora come adesso, il pathos aveva un’importanza fondamentale. L’insieme dei sentimenti che l’oratore sceglieva di mostrare era fondamentale per la riuscita di un buon discorso retorico.
Non meno importante, infine, era il logos, il discorso vero e proprio.
Un discorso retorico efficace si arricchiva, quindi, di topoi, argomenti e di figure, cosiddette appunto, retoriche, quali la metafora, l’antonomasia, l’iperbole, la perifrasi.
Oggi, probabilmente, l’uso alcune di queste figure retoriche è quanto mai raro o, più che altro, inconsapevole e casuale.
Frequente è invece il ricorso ai topoi, luoghi comuni. Questi altro non sono che schemi narrativi sempre uguali e per questo riutilizzabili ed utili per comunicare alcuni concetti e sentimenti comuni.
Si pensi al luogo comune dell’immigrato che, giunto in Italia, sottrae lavoro agli italiani o quello per cui una famiglia è degna di essere chiamata tale solo se composta da un uomo ed una donna.
A ben vedere dunque, per certi versi le cose non sembrano cambiate. Non sembrano cambiati centri strumenti, certi espedienti di cui ognuno di noi, ciascuno a proprio modo, si avvale per convincere delle proprie tesi, blandire.
La retorica ha certamente perso oggi la nobiltà che possedeva un tempo. Essa infatti richiedeva studio ed esercizio, cultura. Nonostante ciò alcuni meccanismi sembrano non essere cambiati.
Oggi i politici fanno leva sui sentimenti dell’elettorato cui si rivolgono. E lo fanno ricorrendo all’ethos e al pathos.
In questo modo mostrano empatia ed ispirano fiducia.
Si pensi a Salvini che durante alcuni dei suoi comizi strinse il rosario tra le mani e lo baciò, mostrandolo poi, fiero, alla folla.
In questo caso il senatore ha fatto leva sul sentimento religioso comune al proprio elettorato e se ne è servito per apparire rassicurante ed ottenere consensi.
Certamente non possiamo dire che spicchi per la sua dialettica e la sua eloquenza, ma è abile e astuto nell’uso che fa dei topoi.
Il suo compito non è dare risposte chiare e nette, ma suscitare sentimenti e ottenere approvazione.
Cosa è rimasto, quindi, dell’antica arte della retorica? A ben vedere, in molti casi, ben poco.
Oggi, inoltre, gli studi classici sono oggetto di un’ingiusta ed evidente mortificazione.
Certi tipi di conoscenze e di attitudini risultano oggi non mercificabili e perciò, inutili.
Ciò, a mio avviso, ha in parte contribuito allo scadimento del livello culturale generale e ad una certa mancanza di elasticità mentale.
Ostaggio della comunicazione di massa, i contenuti si sono oggi adattati ad una comunicazione rapida e facile, accessibile a tutti in qualsiasi momento.
Questo ha indubbiamente rivoluzionato, non solo il modo di comunicare, ma alcuni contenuti stessi, rendendoli, spesso, più inconsistenti.